Ci rimettiamo in cammino e guardo l’orologio: sono le undici, quindi circa due ore che avanziamo. Devo pensare anche al ritorno. Decido di porre a me e al cane un limite che non deve essere superato, ovvero un certo ponte che già si vede in lontananza, ma che per raggiungerlo occorre almeno mezz’ora. Cesare sembra rinvigorito dalla nuotata controcorrente e ogni tanto, per rompere la monotonia, si lancia verso la riva opposta per esplorare qualche piaggia che lui giudica degna di nota. All’improvviso, lo spinone si ferma di nuovo; é parallelo al corso del fiume, e tiene la testa piuttosto alta rispetto alla dorsale. Però, mentre scendo verso di lui, mi accorgo che non è proprio fermo, ma atteggia una sorta di lentissima filata guatante. Apre e chiude la bocca, mastica l’effluvio, mette una zampa davanti all’altra flettendo leggermente gli arti, ed avanza come al rallentatore. E’ uno spettacolo che non tutti i cani possono offrire. E’ la sublimazione della predazione, l’epigonia di quel che noi cerchiamo andando a caccia: un godimento insuperabile, che da solo vale ogni sacrificio. Continuiamo così per almeno un paio di minuti, finché una coppia di germani reali si materializza dal sottoriva ed entra in acqua a circa trenta metri da noi. Erano loro che Cesare seguiva, e li aveva localizzati senza incertezze catturandoli col naso e lavorandoli come poche volte avevo visto fare in precedenza. Sono lontani per la mia sette e mezzo di prima canna, ma devo per forza sparare quella se voglio avere la possibilità di prenderne almeno uno. Tiro alla testa del maschio, le due anatre si alzano dall’acqua più rapide che possono incolonnandosi verso l’alto, esplodo la seconda botta sulla femmina che mi rimane più di mano e il piombo del sei la centra in pieno. Il maschio si allontana veloce mentre la compagna
precipita in acqua sbattendo le ali. ” Vai Cesare!”, grido, ma lui è già diretto verso l’uccello abbattuto e fende le acque verdi come un sommergibile lanoso seguendo la corrente a favore che porta via rapida l’anatra. Cesare è uno che non molla. Riesce ad afferrarla, a fare un rapido dietrofront per guadagnare la porzione di sponda più vicina, quindi si arrampica con la grassa germana in bocca e torna verso di me saltando a piè pari rovi ed erbacce. “Dai, bravo! Dammela!” gli dico io abbracciandolo felice come un bambino, e lui dopo averla trattenuta ancora un poco, si decide ad aprire le mascelle poderose e a consegnarmela.
Il ponte è ancora lontano, ma riprendiamo la via del ritorno carichi di momenti da annotare nel grande diario dei ricordi belli e di speranze per il futuro. Il freddo di gennaio non lo sentiamo più, e la fatica come per magia si è dissolta, spazzata via da quelle emozioni senza prezzo che solo l’amicizia ed il cuore del nostro cane possono offrirci.
A CACCIA CON LO SPINONE: SUL FIUME CON CESARE…
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