Cesare del Pratomagno, così si chiama con nome e cognome il mio ercole a quattrozampe, incomincia la perlustrazione degli argini con la determinazione incrollabile che gli è propria, sfrascando fra i relitti di rovi ormai scheletrici ma ancora pungenti come chiodi, ed entrando in acqua a ficcare il naso in qualche sito che a lui pare emanare un odore promettente. Lo seguo ad una distanza di due o tre metri, sfruttando la possibilità di movimento che le piante morte mi danno adesso rispetto all’autunno, quando giocoforza bisognava avvalersi della stradina sopra gli argini per poter seguire il corso del fiume. Lo spinone è nel suo ambiente naturale: quello che a me pare un canneto impenetrabile lui lo perfora come se avesse un rostro, e le acque congelate nelle quali io non metterei nemmeno lo stivale termico, per Cesare sono come un bagno alle terme. Lo ammiro mentre cerca con dovizia. Entra ed esce dall’acqua cucendo
un filo immaginario con una logica da predatore naturale chiara a lui ma non a me, che come ogni altro uomo, al suo cospetto sono solo un fucilatore, esecutore materiale di un circolo virtuoso in cui il cane e il selvatico rimangono i prim’attori. Stringo il mio Beretta fra le mani guantate, e continuando ad avanzare dietro Cesare mi tornano in mente tanti episodi collegati a quei luoghi; quasi mi pare di ricordarne ogni pianta, ogni ansa del canale, ogni pettata sugli argini opposti. Ho gli occhi arrossati e umidi per il freddo, ma mentre tento di asciugarli col dorso del guanto scorgo Cesare in ferma. E’ sulla riva, ma il collo ed il capo puntano decisamente verso l’acqua sottostante. Una pompata di sangue caldo mi
attraversa facendomi muovere verso il cane che, granitico, é proteso verso un punto che solo lui può conoscere. Mi metto alla sua destra, in una posizione che mi consente di dominare tutte le direzioni in cui il presunto uccello potrebbe involarsi. Guardo Cesare, e inizio a sussurragli qualche complimento con voce bassa e tranquilla: ” Bravo…bravo il mio Cesarone…che animale hai fermato? Non sarà mica una nutria vero?..”. Ma non si tratta solo di complimenti: è un codice che lui ed io abbiamo sviluppato quando, dopo un po’ che è fermo, voglio che faccia un passo avanti per consentirmi di sparare e concludere l’azione. Tuttavia, in queste cose non bisogna aver fretta: è necessario sempre lasciare che il cane stia in punta per un certo lasso di tempo e solo dopo, se è necessario, iniziare a comunicargli la volontà di far alzare la selvaggina. Mai forzare, mai gridare, mai incoraggiare a far questo, ma solo suggerire con tranquillità.
A CACCIA CON LO SPINONE: SUL FIUME CON CESARE…
Condividi:







