L’Ottocento, in Germania, assiste al fiorire di importanti accademie d’arte in città come Berlino, Monaco, Amburgo e Dusseldorf, dove la veicolazione dei talenti e degli spiriti avviene attraverso binari rigorosi, approfonditi, e tuttavia decisamente statici e formalmente vincolanti. Però, nonostante le pastoie dottrinali, da queste istituzioni emergono figure titaniche come Peter Cornelius e, soprattutto, Otto Runge, geniale pittore del nord nato alla fine del 1700 e morto nel 1810 ad Amburgo a soli trentatrè anni, il quale seppur ancora legato al linearismo neoclassico può considerarsi la base iniziatica e culturale per la pittura romantica tedesca che verso la seconda metà del secolo imporrà la sua forza evocativa dilagando negli atelier artistici di tutto l’impero del Kaiser, trovandovi una delle sue più complete possibilità d’espressione. Se Runge ne è stato il pioniere, il romanticismo sboccia pienamente soltanto con Caspar Friedrich, morto a Dresda nel 1840 e senza dubbio continuatore della linea di pensiero tracciata dall’artista amburghese. Friedrich predilige la lettura del paesaggio ed incarna in maniera completa le linee guida d’idealità che il sentimento romantico può ispirare. I suoi quadri si presentano spesso come esaltazioni della “vis naturae” a discapito dell’essere umano che la subisce, preda di una solitudine che appare infinita ed invincibile. Nonostante ciò, la natura è ritratta splendida e benevola come se non fosse in alcuna misura la responsabile dell’impotenza dell’uomo, dipinto quasi sempre come una figura piccola, remota, parte di un tutto che non è neppure in grado di concepire, figurarsi dunque di dominare. Per capire bene molti aspetti della pittura tedesca della metà dell’ottocento, a questi due grandi artisti è necessario aggiungerne un terzo, anche se in verità si tratta di una riduzione un po’ troppo esasperata, poiché sono davvero tanti i nomi che sarebbe giusto citare, e comunque la volta prossima ne vedremo degli altri, ugualmente se non più grandi di questi. Il terzo, comunque, è Adolf von Menzel, grande artista nato a Breslavia nel 1815, che dopo essere stato illustratore ed incisore, verso la metà del secolo iniziò a dipingere seguendo un’ispirazione realistico-naturalista e, successivamente, quella impressionista. Von Menzel, berlinese d’adozione, è in possesso di un lessico pittorico di natura decisamente razionalista, carattere tipico dell’anima tedesca che, ricordiamolo, risulta una chiave importante per addentrarsi bene nella produzione artistica della Germania ottocentesca, e la cui onnipresenza, mascherata da stilemi e correnti è leggibile proprio nelle tante rappresentazioni venatorie di artisti che pur non essendo importanti come quelli che abbiamo citato, non per questo risultano meno dotati di forza figurativa e intensità di descrizione.
Queste necessariamente brevi note concettuali ci servono per inquadrare al meglio che possiamo le “mani” degli artisti le cui opere illustrano questa nostra chiacchierata. La figura 1 rappresenta una stampa da una tela del 1864 di Ludwig Woltz, artista dal bell’occhio naturalista e dalla mano ispirata e caratteriale, quasi impressionista, che coglie bene le posture e le espressioni dei cinghiali all’insoglio. E’ evidente in lui la tensione di voler rendere bene gli animali lasciando in secondo piano l’ambiente circostante, come altrettanto evidente risulta l’osservazione rivolta alle anatomie ed alle proporzioni.