Un altro esempio della capacità e soprattutto della propensione degli
indiani a interloquire con intelligenza e rispetto con la natura e le sue creature..
“Indubbiamente. Loro si sentivano parte di un Tutto. Le vicende della natura e delle stagioni scandivano la loro esistenza, e pur se consideravano gli animali da cacciare come una risorsa preziosa da cui trarre beneficio materiale, nello stesso tempo li vedevano in un’ottica di fratellanza e di comunione d’anime, poiché con l’attività venatoria ricavavano anche un beneficio spirituale convinti com’erano che non solo le proprietà fisiche, ma anche quelle morali si sarebbero trasferite in chi avesse affrontato con valentìa e
coraggio la sfida che la preda lanciava…”.
Forse avevano ragione loro..
“Può darsi. Fatto sta che erano ambientalisti veri; predatori inseriti in un circuito perfetto, che nobilitavano con la valenza spirituale da essi attribuita alle vicende della natura ”.
E’ il momento di ritornare alla nostra realtà. Ma il contatto con l’apostolo di una civiltà così compenetrata nelle dinamiche descritte dal grande Libro della Natura, non può che essere un tonico vivificante per chi al futuro della caccia crede ancora davvero.










