Le visite in America si moltiplicano, e il vulcanico geometra foianese
approfondisce i suoi studi con la lettura di innumerevoli testi sulle tribù pellerossa, adesso conservati nella sua invidiabile e multilingue biblioteca etnografica. Susani mastica il francese anche in virtù del matrimonio con una signora d’Oltralpe, perfeziona l’inglese e continua a studiare scoprendo sempre più un mondo da epopea, confinato troppo spesso dall’immaginario collettivo ai film o ai fumetti del west. Ma c’è dell’altro: aiutato da una manualità a dir poco straordinaria, comincia a cimentarsi nella riproduzione di oggetti indiani. All’inizio si tratta di completare un paio di mocassini Navajo, di restaurare un’antica giubba da caccia Cheyenne, o di riparare l’arco di un guerriero Apache; poi, pian piano la sua capacità d’artigiano lo spinge a ricostruire archi e frecce da caccia, totem, cimieri piumati e molto altro su modelli e con elementi fedeli agli originali, e in più seguendo
le medesime tecniche utilizzate dalle tribù. Ecco, forse questo è l’aspetto veramente caratterizzante la personalità di Sergio Susani: la totale compenetrazione spirituale in dimensioni lontane da noi, in dinamiche antropologiche assolutamente diverse quando non opposte, in transfert quasi metasifici a ritroso nel tempo e nello spazio. Nella stessa America, adesso, viene chiamato per consulti sulle tradizioni pellerossa o per “expertice” circa la provenienza di un reperto o di un manufatto, ricevendo attestati di stima da consessi scientifici qualificati e perfino da un’istituzione dal prestigio assoluto quale lo Smithsonian Institution di Washington, i cui vertici sono rimasti a dir poco ammirati davanti alla completezza di una cultura in grado di partire dalla nozione e dall’approfondimento teorico più remoto e facilmente approdare nella maestrìa della pratica costruttiva.
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