Mi avvicino rapito da un fregio sulla sua parte inferiore e leggo una firma scandita con una vecchia china: “Sitting Bull”; accanto alla foto, uno strano oggetto di corno sormontato da un manico a guisa di becco d’uccello reca la stessa sigla vagamente indecisa. Trattengo il respiro ed allungo una mano a toccare quello che non avrei mai immaginato nemmeno nelle mie fantasie più sfrenate: è il cucchiaio da minestra di Toro Seduto, il leggendario capo indiano, il profeta dei Sioux, l’uomo che ispirò la vittoria sulle giacche blu del generale Custer a Little Big Horn. Mentre un caleidoscopio di colori e tessuti, costumi ed armamenti raccontano pezzi di vita e plasmano frammenti di caccia ed avventura, ho la sensazione di stare in un sogno, uno di quelli che si facevano da ragazzi dopo una serata passata al cinema, con la differenza che qui tutto è vero, tutto ha una sua logica, tutto contribuisce allo straordinario viaggio dimensionale che inevitabilmente in questo luogo si è costretti a compiere.
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