Gustosissima è la descrizione della partenza mattutina per la caccia: “..All’alba è, tutt’intorno, un rombare di motori, un vocìo di richiami, uno stridere di scarpe ferrate sul selciato: di lì a poco, un vero esercito di civettai parte al seguito dei cacciatori, coi mazzuoli trionfalmente gettati a “spall’arm”, e con a tracolla i cestini e le cassette forate donde occhieggiano i fosforici sguardi calamitosi delle bestiole prigioniere.”
E’ evidente che quella della caccia con le civette era un’arte zootecnica, in primis, ma anche un’arte venatoria di non indifferente grado di difficoltà. Biagini accennava al sistema adoperato dai civettai per convincere le civette a non buttarsi giù penzoloni ma a svolazzare, roteando il
mazzuolo al momento in cui i piccoli uccelli vengono avvistati quando si levano dal suolo. La bravura stava nel far lavorare la civetta al momento giusto così da far avvicinare l’allodola a tiro, attirata senza scampo dalla presenza del predatore che durante la notte saccheggia e terrorizza i loro nidi, tentando di battere qualche record presentato, carniere alla mano, al Caffè della Posta dove chi faceva la media più alta per cento cartucce sparate veniva proclamato re della giornata, e dove, contando le lodole uccise, erano posate accanto anche le civette, che avevano così il diritto di scegliere, come premio del loro lavoro, quelle che gli aggradavano di più.
Un’ epoca scomparsa per sempre…
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