Che paese siamo diventati. Quello con la più alta percentuale d’Europa di telefonini per numero di abitanti; quello dei venti milioni di veicoli tutti insieme in coda autostradale allo scadere del penultimo fine settimana di luglio; quello dove basta che piova tre giorni ed è emergenza alluvioni, prontamente documentata dalle televisioni con scene da girone dantesco, o dove è sufficiente un’estate appena degna di questo nome per scatenare invece l’allarme opposto, quello della siccità, facendoci chiedere dove mai sia finita tutta l’acqua dell’altra volta. Siamo il paese dove tutti predicano ma nessuno si sente così “fesso” da dare l’esempio per primo ed infine il paese, l’unico al mondo, in cui si sia rischiata a più riprese la chiusura totale dell’attività venatoria. Paese sovraffollato, snaturato da un affollamento eccessivo, svirilizzato e reso artificiale da una cultura metropolitana presuntuosa ed onnipotente, assorbita bene da nazioni con un territorio ed una sociologia diversi, ma pozione nefasta per una vecchia lingua di terra come la nostra, in cui, non si capisce bene il perché, pare che tutti si ostinino a voler venire a vivere, di diritto o di rovescio che sia.
In Italia, dove l’attività venatoria è poco più di un simulacro e poco meno di una pantomima, l’idea di predazione sopravvive esclusivamente per una ragione: il fuoco antico acceso dalla notte dei tempi e sempre vivo nell’anima di ogni uomo, poiché né la situazione ambientale né quella legislativa potrebbero giustificarne l’esistenza. Lo stesso fuoco attorno al quale i nostri progenitori con le barbe e le lance discutevano in chissà quale arcaico fonema la strategia da seguire. Le stesse fiamme che illuminano gli occhi dei nostri più grandi alleati, i cani, quando le loro narici s’impregnano del selvatico odore che essi ricercano da ben prima del passo falso commesso scegliendoci come amici.
E’ vero, non è facile sentirsi Davy Crockett quando si scappa a prendere il “posto buono” e ci si trova la fila come allo stadio, o quando si ha diritto a cinque fringuelli e tre peppole un anno sì e due no. Tuttavia è la nostra caccia, l’unica che abbiamo e che avremo e che il dovere ci impone di idealizzare traendo un poco di bene dal suo molto male.
Prodighiamoci tutti per non corrompere anche quest’ultima occasione. L’ultima spiaggia che davvero ci permette di riunirci attorno a quel fuoco primordiale. L’ultima frontiera in una dimensione ogni giorno più lontana.
L’ultima frontiera
Il nido del falcoCondividi:





