La grande piazza, lastricata di pietra grigia, s’interrompe davanti ad un bel portico ottocentesco. Un bronzeo verro zannuto presidia l’ingresso di legno scuro, scrutando i visitatori come farebbe un gendarme di frontiera: è una statua, ma la plasticità delle forme e l’espressione altera gli conferiscono un’anima inquisitrice, in grado di incutere soggezione. Tanta gente entra attraverso il grande battente spalancato, mentre io sono fermo a leggere il cartello con le tariffe scritte in bei caratteri grandi, pervaso da un moto d’entusiasmo. Leggo: “Adulti 3,50 € ; ragazzi sotto i 16 anni e studenti 2,50 €; famiglie 7 €; scolaresche 2 €..etc..”
Scolaresche, famiglie, ragazzi. Ho gli occhi lucidi. Entro anch’io, finalmente.
Un’altra grande caccia bronzea riempie la nicchia che sta ai piedi dello scalone, ma la guardo appena perchè sono impaziente di salire a vedere il contenuto delle sale, attratto come un ferro da un magnete: la prima di queste, mi toglie il fiato. E’ una selva di forme animali che danzano sotto centinaia di trofei da capogiro, frutto ognuno di un’avventura diversa, ricordata nelle particolareggiate didascalie esplicative. Il gigantesco cinghiale troneggia sul piedistallo, circondato da una torma di bambini accompagnati da alcune donne premurose, mentre un uomo barbuto ne espone i tratti, passando l’indice sul filo delle possenti difese, toccando le setole dure e accarezzando il contorno delle orecchie puntute.
Sono allo Jagd und Fischerei Museum di Monaco di Baviera. Il Museo della Caccia e della Pesca. Senza camuffamenti, retoriche o edulcorìe di alcun genere. In Germania ce ne sono diversi ed anche molto più belli di questo, ospitati in palazzi antichi o castelli da fiaba, uno più ricco dell’altro, e tutti aperti al pubblico, frequentati dalle scuole e attrezzati per ogni evenienza. Uscito, seduto in un vecchio ristorante davanti alla schiena dorata di una saporosa lepre al ribes, sorrido pensando a casa mia. Immagino il bollore, le petizioni, le “vibrate proteste” se in una qualsiasi delle nostre grandi città ci permettessimo di aprire un Museo della Caccia, così, chiaro e tondo, senza altri titoli maschera, perfino con ingresso agevolato per le scolaresche e lo sconto famiglia. Esistono, è vero, un paio di belle eccezioni in Alto Adige o nell’arcipelago toscano a conferma della regola, ma nulla di metropolitano, che possa contare su importanti casse di risonanza o bacini d’utenza significativi. Eppure ce ne sarebbe di tradizione; anche la nostra maremma o i nostri appennini avrebbero vicende e materiale da offrire. Ne avremmo d’avanzo anche per qualche paese poco fornito.
Rifletto, sorseggiando ancora una goccia di Spatburgunder, carminio come i fiotti di sangue del cervo ghermito dai levrieri in quella tela di Beckmann, poi pago e chiamo il taxi, destinazione aeroporto. Con una punta di nostalgia.





