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Razze da cinghiale: sfida al Re della macchia

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11 Dicembre 2013 di Mario Sapia
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foto lyonmag.com

foto lyonmag.com

Il prepotente ritorno del cinghiale negli ultimi trentacinque anni, ha dato luogo ad un ampio catalogo di situazioni e di cambiamenti insistendo sui giochi d’equilibrio di un ecosistema da sempre antropizzato e sofferente quale quello italiano. Un ventaglio faunistico depauperato dai predatori che stavano al vertice della catena alimentare e che svolgevano una funzione di controllo sul territorio, ha dunque contribuito al facile incremento della popolazione di un animale come il suide selvatico, già caratterizzato di per sé da elevatissimi tassi di fertilità e natalità. Tutto ciò, oltre che sull’ambiente, ha influito in maniera determinante sull’intera categoria dei cacciatori sportivi, i quali dapprima questo fenomeno lo subirono unicamente, riuscendo a gestirlo alla meglio solo dopo l’impatto iniziale. Il cinghiale, si diceva, ha pesato sulle scelte di molti. Ad esempio, una quota di segugisti lepraioli frustrati da ambienti sempre più angusti, da caprioli a profusione e da selvaggina sempre più difficile e lontana da reperire, ha cambiato oggetto del desiderio trovando nel re del bosco nuova linfa e passione. A questi vanno aggiunti molti ex codaioli, stanchi di arrivare in fondo all’anno avendo incarnierato solo qualche fagiano all’apertura, e spesso senza neanche quello. Poi le giovani leve, che in tutta questa situazione hanno intravisto possibilità di emozioni che in altre cacce erano elargite con il contagocce. Insomma, la setta degli adoratori dello zannuto dio del bosco, da qualche lustro a questa parte ha visto infoltire le proprie schiere con una rapidità quasi esponenziale.cinghiali 1

La prima delle conseguenze, dal punto di vista squisitamente tecnico, ha eletto protagonista colui che in realtà, il ruolo di primattore già ce l’aveva: il cane. Se, dunque, fino a venticinque o trent’anni fa, la maggior parte delle squadre di cinghialai si serviva di meticci d’ogni foggia e misura, l’avanzata numerica di questo selvatico e le mutate condizioni culturali in materia cinofila e zootecnica, hanno portato molti ad adottare e comporre mute di segugi puri, sia in via esclusiva, quanto in via preferenziale. I segugi Italiani a pelo forte, a differenza che nella caccia alla lepre, non hanno mai spopolato. Le ragioni sono molteplici e, francamente non tutte condivisibili da chi scrive. Il motivo principale di un utilizzo non massivo sul cinghiale è stato dato dal fatto che la razza, dal punto di vista dello standard e della selezione in funzione di questo, venne fissata solo nel dopoguerra. Lo spirito nazionalistico distrutto in mille pezzi dagli infausti eventi bellici, la miseria galoppante, e la sudditanza esterofila, in particolare francofila, che ha caratterizzato il nostro paese fino agli anni settanta non potevano consentire, complice una diffusione della cultura cinotecnica quasi nulla, l’apprezzamento di una razza fissata a “tavolino”e che derivava comunque da molti dei cani che erano stati usati fino a quel momento. Non era dunque una scelta credibile, ed all’epoca non poteva esserlo, soprattutto per chi la caccia al cinghiale la vedeva come un’attività quasi o del tutto professionale. Poi arrivarono gli anni del boom, la scolarizzazione aumentò e con essa la diffusione della cultura generale e degli scambi con il resto del mondo. l’Italia diventò così una “potenza” industrializzata a livello europeo. Tuttavia, l’esterofilia, anche in campo venatorio e cinofilo, non tardò a far si che alcune razze d’oltralpe venissero conosciute ed importate: fu il periodo, solo per rimanere in tema cinghiale, dei primi bleu de Gascogne, dei primi griffoni e, più tardi, dei primi anglofrancesi. Cani molto diversi gli uni dagli altri, ma che avevano in comune la caratteristica di essere stranieri e di offrire quindi l’illusione di un asso nella manica che avrebbe potuto risolvere molte situazioni. Tuttavia, quarant’anni fa, il cinghiale non era ancora la star che sarebbe diventato vent’anni più tardi. I cani puri impiegati nella sua caccia erano pochi ed ancora più cinghiali 7esigue, dunque, erano le mute costituite interamente o per la maggior parte da elementi di pura razza. Tuttavia, questi pochissimi soggetti hanno avuto un’importantissima funzione nella successiva introduzione massiccia di cui sono stati protagonisti. Hanno aperto la strada, permettendo ai cacciatori affamati di cinghiale di poter disporre di precedenti esperienze da cui partire per accordare poi preferenze quasi esclusive. L’ultima “riscoperta” cinofila dovuta al miracolo cinghiale nel nostro paese, è il segugio maremmano. Dico riscoperta, perché il segugio maremmano è noto come tale da circa un secolo, ma solo a partire dagli anni ottanta si è cercato di omogeneizzare la razza, per avviarla al riconoscimento ufficiale. Il segugio maremmano è con ogni probabilità il più caratteristico prodotto di “nicchia” della cinofilia del nostro paese. Nicchia ecologica e funzionale, ovviamente, anche se, concedetemi la notazione, a giudicare dai prezzi con cui vengono trattati i cani ed i cuccioli di questa razza, non esiterei più di tanto ad inserirli anche fra i prodotti di nicchia di lusso, al pari di razze ben più blasonate ed esclusive.

Inutile dire che chi è abituato ad utilizzare una determinata razza tenderà sempre, pur essendo in possesso del più spiccato senso dell’obbiettività, a magnificare le doti del cane adoperato cercando di nascondere o di minimizzarne gli eventuali difetti, persino in contesti tecnici di una certa levatura. E’ normale ed umano. Però non sempre è produttivo. Probabilmente, per una disamina comparata fra diverse razze ed il loro utilizzo, può essere un buon punto di partenza quello di non allevarne alcuna o, in seconda istanza e molto meno realisticamente, di allevarle tutte. chasse-a-chiens-courants Personalmente ho posseduto qualche soggetto con cui ho cacciato il cinghiale esclusivamente in forma singola, ma nonostante ciò, ho sempre colto con piacere ed apprezzamento un invito per una battuta al re del bosco oppure, all’estero, la possibilità di una caccia alla volpe o al cervo con cavalli e fanfare. Ho maturato così una serie di convinzioni che, sia chiaro, come tutte le convinzioni cinofile devono essere sempre provate e sprovate e possono esser stravolte da un nonnulla, e da un momento all’altro. Tuttavia queste esperienze , caduche fin che si vuole, mi hanno imposto delle riflessioni e suggerito degli approfondimenti che ho sempre cercato di attuare, in primis sul campo, ma anche attraverso letture , ricerche e scambi di idee con “confratelli” in Artemide di molti paesi e di tutte le età e le estrazioni.

cinghiali 5Proviamo dunque a dare un quadro sinottico delle razze da “cinghiale” di cui ho avuto l’esperienza più viva partendo da un solo filo conduttore, suddiviso in diversi settori. Il filo conduttore sarà la battuta di caccia, mentre le varie qualità necessarie per condurla a buon fine costituiranno le sezioni, per così dire, analitiche.

La prima cosa di cui si ritiene debba essere dotato un segugio è senza dubbio la passione per la caccia. Molte volte viene spontaneo dare per scontata la sussistenza di quest’elemento nel corredo caratteriale del nostro segugio, dimenticando così che anche i cani sono come noi dotati di un’individualità e di un patrimonio genetico che è unico per ogni soggetto. Rimanendo nel campo dei segugi propriamente detti, con l’esclusione quindi dei levrieri, e non considerando i terriers, la razza che sotto il profilo passione mi ha impressionato di più è il segugio maremmano. In occasione di una battuta alla quale ero stato invitato, ebbi l’onore e l’onere di condurre e sciogliere il capomuta e due dei suoi pretoriani: ebbene, vi assicuro che mancò poco a che mi staccassero le dita per la forza con la quale tiravano, inducendomi a pensare : ” questi il cinghiale lo fermano con i denti, altro che fucili!”. La forza terribile di cui stavano dando prova non era solo frutto di un eccellente trofismo, ma quest’ultimo era moltiplicato per cento dall’intensità emotiva con cui si apprestavano alla sciolta, e che era immediatamente evidente semplicemente osservando lo sguardo infuocato di quei cani. Per loro, il cinghiale era lo scopo della vita, e la sua braccata era la cosa che desideravano di più. Anzi, l’unica cosa che realmente desideravano.SB Segugio maremmano

Con questo, naturalmente, non voglio dire che le altre razze non abbiano passione sulla bestia nera, ma semplicemente non credo che giungano a questo livello di carica emozionale. I griffoni francesi, ad esempio, sono cani di grande passione e di splendido carattere, così come è indiscutibile la serietà e l’affidabilità granitica del segugio italiano, ma la devozione passionale del segugio maremmano verso il cinghiale trascende e supera ogni altra analoga concezione.

Dopo la passione per il selvatico, che è la benzina che fa muovere i motori, l’altra dote che serve per iniziare la caccia e reperire la passata notturna è l’olfatto. Comunemente chiamato “naso”, è la capacità del cane di discernere le particelle di odore del selvatico e di collegare le informazioni ricevute attraverso l’organo olfattivo al cervello e comportarsi di conseguenza. Qui, devo dire, i segugi maremmani non sono i migliori, soprattutto considerando la pista fredda. Durante questa fase, in giornate un po’ ostiche per l’olfattazione, i segugi francesi “d’ordre”, come i Gran Bleu de Gascogne sono decisamente il massimo. Questi cani Mały_gończy_gaskoński_Clea_z_Beckova_Cb6_JPGriescono infatti a scansionare molecole di essudato o di fiato dell’animale anche su superfici refrattarie come foglie o pietre, consentendo di reperire indizi che ad altri cani sfuggirebbero. Ovviamente, se questo può tornare di fondamentale utilità in caso di gran secco o di pioggia, c’è da dire che sul cinghiale nella maggior parte dei casi non è importantissimo. Ed inoltre un naso molto potente è spesso fatalmente legato ad uno scarso o medio spirito d’iniziativa, cosa che magari qualche volta potrebbe invece risultare comodo. In quest’ottica, forse la plasticità e la duttilità del segugio italiano potrebbe essere vincente. Il nostro segugio nazionale difatti, è dotato di un grande naso ma anche di un eccellente cervello con il quale l’organo olfattivo coopera a pieno ritmo e con armonia. Non farà miracoli, come i segugi francesi “d’ordine”, ma potrà risolvere con efficacia un buon numero di quesiti, in un ampio raggio di situazioni climatiche medie. Come si vede, si torna sempre al “de cuius”: le razze sono state sviluppate per funzionare al meglio in un determinato ambiente e sotto ben precisi complessi clima-terreno. La genericità ed il retaggio genetico e vocazionale di “tuttofare” del segugio italiano dunque, dovrebbero suggerirne un impiego più massivo, proprio per l’adattabilità che questa razza ha sempre dimostrato di possedere. Il segugio maremmano è nato e si è sviluppato in maremma. In questa terra, soprattutto se utilizzato negli ambienti coperti, sarà sempre inarrivabile, ma se pretenderemo di usarlo sulle colline umide della Valdorcia, o nelle buche pietrose dell’Aspromonte, potremo trovarci ad assistere ad una diminuzione radicale delle sue potenzialità soprattutto a causa dell’utilizzo che questo cane fa dell’olfatto. Il maremmano mal si adatta a puntigliosi resoconti e ad analisi approfondite, preferendo per lo più una via di lettura a doppio binario, ossia terra-aria, che gli consente, nelle giuste condizioni, di raggiungere più in fretta il selvatico. Questo segugio lavora un po’ come i segugi inglesi da volpe, i foxhounds, che analizzano contemporaneamente sia l’aria quanto il terreno. Tale sistema, se da una parte impedirà di rispondere a quesiti olfattivi complessi, in molte altre situazioni risolverà la cacciata nel modo migliore. Poniamo un esempio pratico: i cani sono sulla pista fredda, ed il cinghiale, dopo molti giri, è casualmente allestrato cento metri più in là protetto da un fitto impenetrabile; ebbene, se i segugi sono di quelli francesi andranno avanti seguendo esattamente il filo della passata e arrivando alla lestra con precisione assoluta, anche impiegandoci dueSB Segugio maremmano 2 ore, se sono italiani ci arriveranno in meno tempo, perché magari avranno raccordato due anse della serpentina grazie allo spirito d’iniziativa, se sono maremmani ci arriveranno subito, captando dal flusso d’aria l’odore del fiato dell’animale allestrato là vicino quasi come cani da ferma, e cercandone conferma a terra e sulle piante alla ricerca di quelle particelle che erano in sospensione aerea e che nel frattempo si sono depositate. Bello, si dirà, allora che problemi ci sono? Utilizziamo tutti il maremmano! Ovviamente, non è così semplice. Immaginiamo la situazione che ho posto, sotto una pioggia intensa e persistente: volete sapere come finirà? I segugi francesi sulla lestra ci arriveranno comunque impiegando solo qualche minuto in più, i segugi italiani forse si e forse no, i segugi maremmani probabilmente non ci arriveranno mai, o se ci arriveranno sarà solo casualmente, grazie alla passione estrema che li spingerà a cercare come lupi. Queste, naturalmente, sono solo le mie esperienze che da cronista cacciatore vi riporto, invitando chi legge a compiere a propria volta esperienze pratiche e ricerche documentali. Le altre razze si comporteranno secondo gradienti che oscilleranno fra queste attitudini. I griffoni, ad esempio, dal punto di vista olfattivo sono paragonabili a dei segugi italiani, mentre gli anglofrancesi hanno molte linee in comune con i segugi maremmani ma con molta grinta in meno e con un po’ di naso in più. 

Arrivati sul cinghiale, o sulla lestra, i nostri segugi compiranno un’azione molto importante e classica delle battute alla grossa selvaggina da pelo: l’abbaio a fermo.

foto lefigaro.fr

foto lefigaro.fr

A differenza però che nella caccia ai grandi ungulati come cervo o daino, dove l’abbaio a fermo è il momento indiscutibilmente finale della battuta, avvenendo quando ormai l’animale è sfinito e cerca di difendersi senza però aver più la forza di muoversi, nella caccia al cinghiale in squadra questa circostanza può scandire la metà della braccata, dando l’avvio al ” secondo tempo” con l’abbandono della lestra, l’inseguimento ed il passaggio dalle poste dove una buona palla asciutta metterà termine alla storia. Ho specificato “caccia in squadra” perché , com’è intuibile anche da chi è digiuno in materia, quando il cinghiale si caccia a singolo l’abbaio a fermo deve, o meglio dovrebbe, essere la mossa conclusiva: l’ultima che il cane sarà chiamato a fare. Dunque, se consideriamo i vari modi di condurre quest’azione vi dirò subito che Mały_gończy_gaskoński_Clea_z_Beckova_Cb49la maggiore emozione l’ho provata rabbrividendo, insieme col cinghiale, all’abbaio a fermo dei gran bleu di Guascogna. E’ più o meno come sentire la sirena di un cacciatorpediniere, ed è difficile immaginare che quel frastuono possa uscire dai polmoni e dalla gola di un cane. Difficile finché non lo si sente da vicino, sul posto, e con le proprie orecchie. Se poi i cani sono un bel gruppo, vi garantisco che anche il verro più irsuto e ferrigno dopo poco scapperà a gambe levate dalla lestra o da dovunque egli sia nascosto. I grandi segugi francesi hanno nella potenza vocalica l’unica arma disponibile per risolvere l’abbaio a fermo; quelli che ho avuto e visto io non erano dei mostri di coraggio e non avrebbero mai osato attaccare il cinghiale, se questo avesse deciso di non muoversi. Sotto questo aspetto, il segugio maremmano ed i vandeani, ma anche gli altri griffoni, offrono indubitabilmente maggiori garanzie. Il maremmano è dotato di un abbaio a fermo di persistenza pressoché interminabile, anche se non potentissimo e comunque con un buon tono medio. Quest’abbaio inoltre, è gravato da una nota d’odio atavico così palese che può accorgersene persino chi cinghiale non è. In più, supportato da un coraggio leonino e da una abnegazione paragonabile a quella dei terriers più focosi. In sostanza, quando il cinghiale è circondato alla lestra da un gruppo di maremmani ha come la sensazione che questi siano sempre lì pronti a sbranarlo. Altri grandi abbaiatori sono senza dubbio i Griffoni: tra quelli che ho avuto modo di osservare più da vicino, i Vandeani mi hanno impressionato per la passione e per l’intensità del loro timbro, che è una specie di scagno dai toni bassi molto allungato ma senza sconfinare nell’ululato.cinghiali 6 Altro elemento che compone la fase dell’abbaio a fermo è , a mio avviso la gestualità con cui questo viene accompagnato e che contribuisce al pari della modulazione all’esito finale del lavoro sulla lestra. I segugi maremmani, come accennavo, danno l’impressione costante di voler sbranare il cinghiale, incutendogli un notevole scuotimento nervoso con continue finte d’attacco. I bleu sono piuttosto statici, ed affidano tutto all’impressionante potenza del cavernoso ululato di cui dispongono. I griffoni li ho sempre visti come una via di mezzo, in questa fase, fra i “chien d’ordre” ed i segugi italiani: ai primi si avvicinano un po’ per la potenza vocalica, mentre dei secondi hanno il ritmo di canizza e il buon movimento sulla lestra che sono anche le qualità migliori che il nostro segugio nazionale può mettere in campo in questi momenti.

In qualche modo, alla fine, questo cinghiale viene costretto alla fuga, dando così inizio all’epilogo della nostra battuta di caccia caratterizzato dall’inseguimento.

Anglofrancais 6

Credo sia inutile sottolineare che questa fase può avvenire anche senza una momento prolungato di abbaio a fermo, poiché il selvatico non sempre aspetta di essere reperito dai cani ma si mette in fuga prima che questi sopraggiungano. E proprio in queste circostanze si hanno gli inseguimenti più difficili, considerando il notevole vantaggio che il suide può guadagnare rispetto ad una partenza fianco a fianco con i cani

L’inseguimento non è, come si potrebbe pensare, una fase di mero sfoggio delle qualità muscolari e costruttive, ma si tratta di un lavoro che, ancora una volta, deve vedere agire congiuntamente cuore e cervello. Ed io aggiungerei anche fegato, considerando che proprio nella prima parte di questo, ossia nel momento in cui il cinghiale abbandona la lestra per mettersi a correre, avvengono gli attacchi più micidiali sui cani. Se l’inseguimento è partito senza il prologo dell’abbaio a fermo, secondo me i segugi italiani sono quelli che hanno le migliori possibilità di riuscita nello spingere i cinghiali alle poste. La considerazione nasce dall’indubbia eccellenza del loro olfatto, unita ad una costruzione assolutamente vantaggiosa e ad un ritmo di canizza serrato e prolungato, supportato da un timbro dolce con toni medio acuti di estrema espressività. Anglofrancais 5Tutto ciò consentirà al nostro segugio di rimanere in costante contatto con l’animale inseguito, perseguitandolo con una canizza continua che permetterà anche ai cacciatori di seguire la “radiocronaca” della battuta, minuto per minuto, come recitava il titolo di una nota trasmissione televisiva. L’olfatto e la rapidità di reazione agli stimoli che questo gli comunica, mettono in condizione il segugio italiano di non perdere mai la traccia, attuando nel contempo tutti i possibili “ragionamenti” per accorciare le distanze. Se però l’inseguimento parte dopo una fase prolungata di abbaio a fermo, altre razze, più aggressive, possono accorciare notevolmente i tempi da caccia. Mi riferisco ai maremmani o ai griffoni che in condizioni climatiche medie non hanno problemi di alcun tipo e riescono a stare alle costole anche del verro più veloce e potente. Il tutto si potrebbe complicare quando magari, nel mezzo della battuta, viene giù un acquazzone o, peggio, un temporale. In questi casi, soprattutto se l’inseguito ha un certo vantaggio il naso dei cani francesi, ancora una volta, può essere l’arma vincente. Non mi stancherò mai di ribattere il punto delle condizioni climatiche: ricordiamoci che le razze canine sono state selezionate oltre che dall’uomo, anche dagli eventi atmosferici a cui l’uomo stesso che le ha create o affinate, soggiace. Un caso infausto di temporale durante la caccia significherà rimescolamento delle particelle di usta con quelle di mille altri odori, dilavamento immediato dalle superfici dure e diluizione oceanica da quelle molli. Il vento, inoltre provvederà a trasportare violentemente per ogni dove i coni di fiato emessi dall’animale e solo nasi raffinatissimi ed altrettanto allenati sono in grado di mantenere il giusto filo. La maggior parte dei cani francesi ha formato il proprio naso in zone dove si passa da una siccità vitrea e ventosa, a periodi in cui i rovesci assumono proporzioni bibliche. Va da sé quindi, che in condizioni estreme, nasi forgiati nelle difficoltà possono fare la differenza. Una parola, circa la fase dell’inseguimento, vorrei spenderla per una razza che in realtà da cinghiale non è ma che su questo selvatico viene ormai nel nostro paese correntemente impiegata, direi con ottimi risultati: l’anglofrancese de petit venerie. Si tratta di un segugio che mi ha impressionato, oltre che per la bellezza fisica anche per l’efficienza sul cinghiale in fase di abbaio a fermo ed inseguimento. Nei soggetti migliori, riunisce bene le doti dei segugi inglesi da cui per metà deriva, come la resistenza, il coraggio e la velocità, con quelle dei segugi francesi, ovvero naso, timbro e persistenza nella voce. Sono cani che sulla traccia evidenziano uno scagno forte e dai toni bassi, che però si trasforma in un efficientissimo ululato al momento di affrontare il cinghiale alla lestra. wolfenespritningcom

Dunque, alla fine di questa carrellata, sia pur sommaria per evidenti esigenze editoriali e monca di molte razze che non ho visto lavorare di persona a sufficienza per poterne render conto, quale sarà il cane da scegliere per metter su una bella muta destinata ad una proficua battuta al cinghiale? Ancora una volta la risposta sarà diversa da persona a persona, poiché ognuno possiede un suo sentire estetico e morale che applicherà coscientemente o no, anche all’attività venatoria. Avete mai provato a cacciare con un cane che non vi piace esteticamente o verso cui non provate alcun feeling? Anche il soggetto più bravo ed adatto allo scopo vi lascerà indifferenti e vi toglierà una fetta importante del piacere della caccia. Difatti, se è giusto evidenziare pregi e difetti delle varie razze in senso assoluto, ancora più giusto è rapportare tutto ciò al gusto di chi con questi cani dovrà affrontare mille avventure e mille battaglie. Una muta di segugi è come una compagnia di attori, di cui noi siamo i registi: deve esserci comunione di vedute, intesa mentale, stima reciproca.

Un regista però, che rammenti sempre come ciò che lui considera un diversivo, per i suoi “personaggi” coincide con la vita.

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