E’ di queste ore una notizia su cui voglio riflettere. Non sono per il momento in grado di giudicarla appieno perché non ne conosco i termini precisi, ma a naso, a prima impressione, di sicuro un poco sinistra m’appare. Riguarda l’ennesima crociata di Michela Vittoria Brambilla, l’ex ministra dai capelli rossi, la quale questa volta scaglia i suoi strali flautati contro le pellicce. Vorrebbe infatti una legge che “vieti la detenzione, l’allevamento e la cattura di animali da pelliccia in Italia”. Ebbene, a parte l’accusa di “volgarità”, non si capisce bene se alle pellicce o alle signore fruitrici di questo capo d’abbigliamento, va materializzandosi, par di leggere nelle intenzioni della rossa pasionaria, un aggancio per colpire anche la caccia. Se non di riffa, di raffa. Come? Ve lo spiego. Mulinando sul facile pietismo dell’affaire pellicce, l’eventuale accoglimento, remoto ma non improbabile, di una simile proposta di legge provocherebbe automaticamente due conseguenze: una di tipo legale, ovvero l’esclusione automatica della volpe dall’elenco delle specie cacciabili, e l’altra, cosa ben più grave, di carattere sociale, e cioè la perdita di numerosi posti di lavoro. Non provocherebbe invece alcunché di davvero rilevante ai produttori di pellicce, i quali sposterebbero l’asse di confezionamento all’estero. Non fraintendetemi però: sono il primo a sostenere che gli animali da pelliccia detenuti in allevamento non debbano patire alcuna sofferenza prima di venire uccisi, né piccola né grande, così come sono stato il primo a plaudire con entusiasmo alla chiusura dell’orrore di Green Hill.
Tuttavia, vigiliamo: i comportamenti estremisti sono come le ciliege.
Uno, tira l’altro.





