Ricordo quando le quaglie si potevano cacciare a ferragosto. Ero un ragazzino ed ovviamente non possedevo il porto d’armi, ma mi offrivo volontario per accompagnare i miei zii, fratelli della mamma, che come noi trascorrevano le ferie estive nella casa avita, nella speranza di rimediare anch’io qualche tiro sulla ferma del cane. Il nonno, ormai da qualche anno era partito per andare a caccia dove non c’erano divieti e calendari, ma i suoi tre figli avevano continuato la tradizione ferragostana mettendo in bauliera, insieme al costume da bagno, anche il fucile.
Partivamo rigorosamente a piedi, attraversando le colline dell’entroterra che profumavano di mille essenze estive, accompagnati da un amico del posto e dal suo bracco tedesco. Con la morte del nonno, di cani in quella casa non ce n’erano più, e noi, famiglie ricche di bambini e bagagli, non potevamo trasportare in quelle auto di trent’anni fa anche i nostri animali, che dunque saltavano immancabilmente l’apertura di ferragosto, rimanendo in città.
Già ai primissimi albori, quando era più notte che giorno, il bracco veniva sciolto e invitato a controllare se vi fosse qualcosa nelle vallette fra una collina e l’altra. La vegetazione, a parte gli immancabili arbusti mediterranei quali cardi, finocchi selvatici e sambuchi, era costituita essenzialmente da pascoli coronati da boschetti d’eucalipti, qualche giardino ad agrumi, e antiche piante di mandorli ed olivi, meravigliose come solo in Calabria è possibile vedere.
Il buon bracco trotterellava piano, annusava il terreno, incannava una bava d’aria e quindi risaliva una collinetta a passo di leggero galoppo. Alla fine fermava, aggiustando leggermente l’assetto sugli arti, e roteando ogni tanto gli occhi per controllare se i cacciatori lo stessero raggiungendo. Una delle cose che ricordo, era che le quaglie non frullavano quasi mai da sole. Molto spesso si levavano in coppie, se non addirittura in piccoli branchetti composti da giovani quagliardi. Le cartuccine del dieci li abbattevano senza problemi, dopodichè, un po’ il cane un po’ io, provvedevamo al riporto.
Notavo che era molto difficile che le quaglie venissero fuori dalla base dei grandi alberi isolati. Fino a quando il giorno era incerto, le piccole amiche africane erano diffuse sostanzialmente in pieno campo.
Le cose cambiavano andando avanti nella mattinata, quando l’evaporazione dovuta al caldo lancinante faceva sì che le quaglie muovessero per forza di cose laddove le erbette erano ancora umide e fresche ed il suolo ricco di lombrichi ed insettini vari. Era il momento di battere i fossetti cespugliati ed i margini degli eucalipteti, occhieggiando ogni tanto qualche volo di tortore che da una collina si spostavano all’altra, o si dirigevano verso la fiumara. La strategia subiva così un cambiamento col mutare della posizione del sole ed il conseguente aumento della temperatura: in pieno campo dunque, quando c’era il fresco, e più marginalmente al sopravvenire del solleone. Ma era la Calabria di ferragosto. Una congiuntura di condizioni che difficilmente può ritrovarsi negli attuali tempi di caccia. Mi si dirà : ma anche oggi è possibile cacciare le quaglie il primo settembre, e può fare un caldo da spaccar le pietre. Vero. Ma non quel caldo, non quella scimitarra tagliente che alle dieci faceva diventare rosse le canne dei fucili, e che mezz’ora dopo costringeva a rientrare al fresco della casa, onde scongiurare al cane un sicuro colpo di calore. Si ripartiva verso le cinque, iniziando questa volta dai settori di margine, dalla base dei grandi alberi o dagli argini delle fiumare, per procedere molto lentamente aprendosi verso i campi. In sostanza, si ricominciava da dove avevamo interrotto attuando una tattica di movimento opposta a quella della mattina. In quelle condizioni, questa era la strategia vincente.
Quelle contingenze, oggidì non sussistono più. Non perché manchi il caldo, ovviamente, ma per la ragione che la caccia di ferragosto, in Italia, appartiene ad un passato che non tornerà, e benchè possano essere caldissimi, i giorni di settembre non sono la stessa cosa. Ferragosto è un periodo in cui il solleone è al culmine della maturazione, ma che è già preludio ai rovescioni della settimana successiva. E’ quindi un mix micidiale fra una temperatura che rimane altissima, retaggio della piena estate, e una coperta d’umidità sempre più incombente, che toglie il respiro e taglia senza scampo le gambe e le zampe più forti. A settembre il discorso cambia. Non dal punto di vista della strategia generale, bensì nell’ottica del ritmo da imporre alla tattica “d’assalto”. Vediamo perché.
Analizziamo i fattori climatici. Se sono avvenuti i rovescioni degli ultimi giorni d’agosto, la temperatura sarà leggermente più bassa, così come il tenore d’umidità dell’aria. Sarebbe la condizione ottimale per cacciare le quaglie se non vi fosse un particolare: gli acquazzoni hanno dato il segnale di rientro al grosso del contingente dei gallinacei d’oltremare, e le poche pattuglie che ancora si trattengono, sono anch’esse in procinto di chiudere le valigie. Questi uccelli, al pari di altri migratori, per prepararsi al lungo viaggio di rientro tendono ad occupare uno spazio che sia aperto ma che al contempo fornisca loro nutrimento a sufficienza.
Come procedere, dunque? Innanzitutto battere i campi, meglio se quelli a riposo ricchi di essenze di ogni genere, piuttosto che le monocolture erbacee come, ad esempio, la medica. Poi, perlustrare gli argini ampi dei fiumi in piano, solitamente inerbiti ed umidi, dove magari avremo anche la possibilità di incontri d’altro genere. Ed ancora, ispezionare quegli appezzamenti che erano stati di grano o d’orzo, dove la raccolta ha lasciato sul posto autentiche catene di ristoranti per quaglie. Ognuno di questi ambienti dovrà essere battuto con maggior calma e metodo di come faremmo sotto il solleone, segnatamente se la giornata tenderà al coperto. La maggior accuratezza è prescritta per la lampante ragione che non essendoci la necessità di sottrarsi alla calura incombente, ed essendo ancora sufficiente il tenore d’umidità sul terreno e le piante, le quaglie si tratterranno volentieri in pieno campo fino ad orari meridiani, avvicinandosi ai fossetti e alle fonti di frescura solo dopo una copiosa gozzovigliata di semini, gemme , lombrichi o piccoli insetti.
Se ne abbiamo la possibilità, cerchiamo di collaborare col cane impostando la direzione di marcia sottovento. Ovviamente questo potrà variare capricciosamente, anche se di solito fino a metà della mattinata il flusso aereo mantiene una provenienza più o meno stabile. In ogni caso, nell’eventualità di refoli improvvidi e malandrini, basterà semplicemente fermarsi un attimo e, se il cane conosce il mestiere, sarà lui stesso ad indicare la giusta tattica di movimento. Ricordiamolo sempre: rispettare il vento significherà aumentare in maniera decisiva la probabilità di un successo, in un’apertura a quaglie.
Se abbiamo in canna cartuccie specifiche, e se nutriamo interesse a portare a casa un buon mazzetto di africanelle, dimentichiamoci del fagiano e degli ambienti che sarebbero buoni per cacciarlo, soprattutto a giorno inoltrato. So che è difficile. Io, ad esempio, da quando non apro più nella mia Calabria, non sono stato mai in grado di tener fede a questa prescrizione. Tuttavia è comandamento inderogabile: se vogliamo davvero le quaglie, molte quaglie intendo, dobbiamo concentrare la nostra attenzione esclusivamente su di esse. Dimentichiamoci dei macchioni, degli argini sporchi dei canali e dei boschetti. Ovviamente, all’apertura il fagiano c’è dappertutto, ma dai campi aperti tenderà a sparire dopo le prime due o tre ore di caccia. Quindi, se l’apertura è impostata sul piccolo gallinaceo, deve essere questo l’oggetto della nostra tensione, nonchè della nostra strategia di caccia.
Se nelle prime ore del mattino, ed è meglio partire molto presto, le quaglie le troveremo battendo i campi aperti con una buona dose di meticolosità, intorno a mezzogiorno potremo iniziare a perlustrare i fossetti ed i margini delle formazioni boschive. Qui, come si diceva, questi uccelli sogliono dirigersi per trarre ristoro dalla calura, ma soprattutto per integrare la loro dieta con minuscoli insetti ed invertebrati che abbonderanno fra le erbe fresche e l’umidità.
E dopo la pausa meridiana, il pomeriggio lo inizieremo proprio dalle aree di margine, riaprendoci progressivamente, ma sempre al giusto ritmo, verso le campiture più aperte.
La strategia, come si vede, è la medesima che sotto il solleone ferragostano, mentre è la tattica che cambia, prevedendo nell’apertura settembrina un maggiore rallentamento nell’azione di ricerca imposto dal tipo differente di insolazione, che a sua volta imprimerà un diverso ritmo alla giornata della quaglia. E quindi alla nostra.
Dobbiamo però considerare almeno un paio di variabili, che potrebbero influire sulla nostra ricerca in modo determinante, e che ci indurrebbero a rivedere tutta la strategia. La prime di queste è il vento. Le quaglie non lo tollerano più di tanto, e se per caso durante la notte un forte episodio eolico ha investito la zona nella quale cacceremo, e magari sta ancora perdurando, ci converrà avviare l’azione di caccia seguendo l’andamento dei fossetti, ossia esattamente al contrario di come faremmo in condizioni più o meno normali. Questo è dovuto al fatto che il piccolo gallinaceo trae riparo dal vento rimanendo soprattutto nei fossi di bordo campo, e rinunciando così alla sua consueta passeggiata antelucana.
L’altra variabile, manco a dirlo, è la pioggia. L’acqua sulla testa è la peggiore delle calamità atmosferiche per chi caccia. Ed in coscienza, in caso di pioggia, sarebbe serio non impostare alcunchè e prendere ciò che capita, ringraziando mille volte. Tuttavia, se proprio volessimo perseguire le quaglie, solo le quaglie , fortissimamente le quaglie, teniamoci lontani dalle zone in cui l’acqua ristagna formando invasi allagati o acquitrini temporanei, e proviamo a dirigere la nostra ricerca su declivi leggeri, meglio se costellati da grandi piante o da siepi. Le quaglie non amano l’eccesso d’acqua, nè sotto le zampe nè sopra la testa, e la presenza di alberi potrebbe essere un elemento utile, in queste condizioni, per determinare l’area su cui provare a cercarle. Ottimi, ad esempio, gli oliveti collinari o i bordi delle siepi, mentre sarà opportuno tenersi decisamente alla larga da monocolture a stelo grosso, e dai pieno campo troppo ampi e senza soluzioni di continuità.
Nonostante lo strapotere del fagiano, la piccola regina d’Africa è ancora una primadonna nel grande circo dell’apertura, soprattutto al Sud. E’ piccola ma genuina, è incolore ma affascinante, è sobria nei campi ma sontuosa sulla tavola. Ma soprattutto possiede un dono unico: per molti di noi rappresenta l’agenda su cui abbiamo annotato i ricordi più vividi, da cui trarre, di quando in quando, nuova linfa per alimentare la nostra passione.






