Fine settembre. Cacciavo in una valletta che si origina dalla Valdichiana e che si annoda con i rilievi subappenninici tra la Toscana e l’Umbria. Avevo verificato una buona presenza di quaglie, ed ero deciso a metterne insieme qualcuna, un po’ per variare rispetto al fagiano, ed un po’ per il piacere di vederci lavorare sopra uno dei miei cani prima che la loro definitiva partenza per i patrii lidi privasse lui e me di questa possibilità.
Sciolsi Tommy, un giovane pointer di 18 mesi che mostrava promettenti doti di agonista e che avrei voluto instradare verso le prove. Caricai la mia doppietta calibro sedici con cartucce da 32 grammi del nove e dell’otto, e cominciai a seguire il cane nella sua frenetica azione di ricerca. Tommy aveva il senso del vento, era intelligentissimo nonostante la spiccata nevrilità e, cosa più importante, sapeva di correre per cacciare e non solo per dare sfogo all’esuberanza del suo fisico vigoroso. Possedeva un naso decisamente ottimo, e conosceva quaglie, fagiani e starne: ma erano le piccole africane quelle che fin da piccolino gli erano subito piaciute moltissimo.
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