Il motivo è semplice: se il cane cominciasse a dar voce, provocherebbe la repentina fuga verso la tana di tutti i conigli che ancora si trovassero in pastura alle prime luci dell’alba, vanificando l’esito della battuta. Credo sia pleonastico ricordare che il rumore di passi e spari non è neppur lontanamente paragonabile, come effettività, sull’animo del coniglio selvatico rispetto al latrato del carnivoro predatore in caccia. L’utilizzo di tutti i sensi congiuntamente, è un’altra procedura importante. Il coniglio selvatico non si rimette in covi al pari della cugina lepre, bensì gira e rigira, sempre teso, sempre in ansia, incapace di mantenere la posizione con fermezza. Il Cirneco, dunque, avrà la possibilità di sfruttare questa debolezza caratteriale dell’orittolago, riuscendo a percepire movimenti e fruscii utili alla sua individuazione anche nei momenti semibui che precedono il sorgere del sole. L’ampiezza dei padiglioni auricolari, e soprattutto il loro portamento, non è un caso ma una vera e propria arma in
più di cui questo cane è dotato, al pari della vista crepuscolare in grado di fargli distinguere movimenti a notevole distanza. Quest’ultima caratteristica è comune al tutto il ceppo graioide , ossia per intenderci, alla famiglia di levrieri ed affini, che nell’acutezza della visione in movimento possiedono l’unico vero “motore di ricerca”.
Ma il cirneco dell’Etna non è un levriero, o meglio non lo è in via esclusiva. Egli è anche un po’ segugio, un po’ spaniel , un po’ terrier e, perchè no, persino un po’ fermatore. E’ un “Canis primigenius”, se mi si passa l’azzardo latinista, e dunque in possesso di tutte quelle facoltà che ha poi trasmesso, direttamente o meno, a moltissime di quelle razze che l’uomo ha selezionato perché lo affiancassero e lo aiutassero nella millenaria lotta per la sopravvivenza.
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