Il dorso della collina si abbassa dolcemente verso il greto della fiumara e la terra ocra lascia spazio alla sabbia color grigio cenere ed alle rocce umide, annunciate dall’erba divenuta più fitta e più alta. Gli alberi d’ulivo e di mandorlo aumentano le distanze tra di loro, diradandosi man mano che l’ala del campo si fa più prossima al corso d’acqua, come a voler dischiudere un sipario. Due orecchie tese esplorano l’aria ancora azzurrina, muovendosi a destra ed a sinistra, avanti ed indietro, pronte a cogliere ogni rumore. Due occhi roteano con frenesia, raggiungendo con la vista ciò che l’udito ha colto. Immobile, acquattato sotto un piede d’erba, il coniglio gioca la sua ultima carta per salvare la pelliccia e ritornare a casa, al sicuro nella profondità di un terreno a lui familiare. Sa che si è allontanato troppo, che la pastura dolce ed abbondante lo ha sprofondato in una trappola pericolosa e che ora non gli rimane che tentare di lasciare meno odore possibile. La tana è lontana, e quello strano cane fulvo con il naso lungo e le orecchie a punta, è lesto di gamba e fine di cervello. Aggiusta la sua posizione mettendosi controvento per dominare i rumori: non è prudente muoversi, ma è costretto a farlo perchè la leggera brezza ha cambiato direzione di provenienza, mettendolo in difficoltà.
Lillo il cirneco non è nato ieri. Già pochi minuti prima, sotto quell’olivo aveva percepito una traccia: un indizio debole e fatuo, ma inconfondibile per il suo olfatto esercitato. S’era appigliato a questa dapprima solo col naso, fiutando terra ed erbe e seguendo l’aria in movimento nel tentativo di dipanare la matassa. Correndo qua e là, aveva stabilito con sufficiente precisione la direzione di marcia seguita dal coniglio, muovendosi leggero come un felino e silenzioso come solo un predatore naturale può esserlo. Non una voce, non uno scagno, non un latrato. Il suo istinto ed il suo naso gli avevano suggerito che si trovava sulla pista giusta e che adesso era giunto il momento di ricorrere a tutti gli altri strumenti di cui sapeva d’essere dotato.
RAZZE STRAORDINARIE: IL CIRNECO DELL’ETNA
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