Non appena il sole pomeridiano diede accenno di voler smorzare, i tre s’incamminarono per una mulattiera pietrosa, destinata a perdersi fra le colline riarse dalla canicola. Erano un anziano, un uomo giovane ed un bambino, preceduti dalle ispezioni tranquille di un segugio fulvo che andava in qua ed in là a ficcare il naso fra gli sterpi, nella speranza che qualche ricordo di lepre gli investisse le esperte narici.
Il nonno portava il fucile, una vecchia doppietta del sedici a cani esterni caricata con due cartucce aveva personalmente confezionato e nelle quali riponeva grande fiducia. Il nipotino aveva appena sei anni, e fin dai primi passi era rimasto affascinato da cani, fucili e da tutto ciò che riguardava il magico mondo della caccia. Rimaneva per ore ad osservare il nonno che caricava le munizioni nel grande stanzone fresco, spiandolo con gli occhietti curiosi dall’altra parte del tavolone di castagno.
“Rimani, ma senza parlare o fare chiasso..” acconsentiva il nonno con finta rudezza che malcelava quell’orgoglio che solo un vecchio uomo del Sud poteva provare per il suo primo nipote maschio che s’interessava alla caccia. Ed il piccolo rimaneva in silenzio, a seguire con lo sguardo i movimenti abili del nonno mentre pesava le polveri sul bilancino con i piatti d’ottone e le introduceva nei bossoli disposti con cura, raggruppati in base al colore ed all’altezza del fondello, mentre l’odore zolfino che si mescolava all’essenza resinosa che l’antico tavolo emanava e pareva esercitare su di lui un fascino irresistibile, inferiore solo al trasporto che provava per i cani.
La marcia in leggera salita proseguiva senza particolari emozioni. Alla vista di un merlo che sfrecciava tra i mandorli o di una tortora che scoppiettava al di fuori dei boschetti d’eucalipto, il bambino esplodeva immediatamente in un “ spara, nonno!” perentorio, seguito da un “uffa! Perchè non spari mai?” alla constatazione che il suo appello era caduto nel vuoto. Il vecchio allora, con calma e sopravanzando i rimproveri che suo genero già preparava all’indirizzo del figlioletto, ricominciava a spiegare una volta ancora il senso di quella caccia e del lavoro di Billy.
Il segugio parve trovare un indizio fra due piante di cappero ai lati di un viottolo. Emise un specie di scagno indeciso e cominciò a girare in cerchio per capire se poteva intercettare qualche altro elemento olfattivo, tenendo il lungo naso incollato al terreno e roteando la coda come la pala di un mulino.
“Forse ci siamo” disse il vecchio all’uomo più giovane, padre del bambino. “Probabilmente è scesa fino al greto della fiumara. Ma scendere anche noi fin lì è faticoso: la cosa migliore è stare a vedere cosa ci dice il cane ”. Billy si tuffò nella scarpata per una trentina di metri, esplorò fra le zolle argillose e poi risalì un po’ mesto, con l’aria di un pugile che sa d’aver perduto il round. La comitiva andò ancora per un po’ su, lungo la mulattiera, finché il nonno decise che sarebbe stato meglio esplorare certi campi punteggiati da olivi che si estendevano sulla destra, guardando il mare. Il piccolino era sempre più imbronciato: il cane che non dava voce ed il nonno che non sparava erano per lui dei tormenti insopportabili: la dimensione del sacrificio e la possibilità di una sconfitta apparivano orizzonti troppo vasti e privi di significato per la sua mente di bambino entusiasta. Quando il segugio fece frullare una quaglia, il nipotino ritornò alla carica “Spara nonno! E’ una quaglia! Una quaglia!” come se il gallinaceo fosse una delle prede più importanti sulla faccia della terra. Il vecchio sorrise, aggiustandosi la tesa del borsalino sulla fronte, e il papà guardò il bambino con lo sguardo più torvo di cui era capace, a guisa di un terribile rimprovero. Il piccolo abbassò gli occhi e proseguì in silenzio. Ad un tratto, sugli slarghi bagnati dal pomeridiano sole d’agosto, il segugio parve trovare un nuovo spunto olfattivo e riattaccò a scagnare. Questa volta sembrava la volta buona: il cane era pienamente avviluppato in una scia odorosa, e ne dava testimonianza con tutta la serie di movimenti che era solito produrre al cospetto della vicinanza del covo della lepre. Il nonno staccò dalla spalla la doppietta e ne armò i cani, prevedendo lo schizzo imminente dell’animale. Billy si dimenò ancora un poco ed emise qualche altro verso, fino a che, pian piano, affievolì il ritmo delle segnalazioni per arrivare all’abbandono della pista.
L’allarme, benché forte, si era rivelato falso: la lepre, se c’era stata, di certo in quel momento non era più là. Il vecchio rimise la doppietta in spalla. Il bambino sentì come un groppo che gli saliva in gola, alimentato da una rabbia sorda e da una delusione troppo a lungo sopportata. Mentre suo nonno e suo padre stavano fermi a discutere sul percorso da fare per ritornare a casa, il piccolo notò che i cani della doppietta che pendeva dalla spalla del vecchio erano ancora alzati. Non aveva sentito nemmeno uno sparo, non aveva potuto provare neppure per una volta l’emozione che gli dava il poter stringere una preda fra le mani. E quei cani erano lì, armati, a pochi passi da lui. Si avvicinò al nonno, si accertò della posizione di suo padre e poggiò le dita sui grilletti, all’inizio con circospezione, poi, infine, con decisione. La doppia esplosione rintronò per tutto l’altipiano. Il cappello del nonno, colpito sotto la falda posteriore schizzò per aria, mentre il povero vecchio emise un grido e si voltò repentinamente in preda al panico più puro, in tempo per vedere il bambino cadere all’indietro per effetto del rinculo del fucile che lo aveva toccato al petto: un istante più tardi, l’anziano si accasciò al suolo e diventò bianco come una pezza. Dato lo svolgersi repentino degli avvenimenti, suo genero non ebbe il tempo di capire subito la situazione e, ancora agghiacciato, si lanciò disperato verso il bambino caduto a terra temendo chissà quale disgrazia. Ma il tremendo marmocchio, alla vista del padre che andava verso di lui, pensando che questi volesse punire la sua monelleria, scattò in piedi come un grillo e corse a perdifiato verso alcuni alberi d’olivo molto più sotto. L’uomo capì in un attimo la faccenda e si rivolse immediatamente al suocero ancora disteso a terra. Il vecchio piangeva copiosamente, con gli occhi che fissavano il cielo.
“Papà, come vi sentite? Siete ferito da qualche parte? Ma cosa è successo?” chiese l’uomo con ansia, mettendo una mano dietro la nuca e le spalle del suocero per accertarsi di eventuali ferite.
“Il bambino! Come sta il bambino? Dov’è? Voglio vedere il bambino…” rispose l’anziano balbettando tra le lacrime, mentre il genero gli sbottonava la camicia sul davanti e gli passava un fazzoletto imbevuto d’acqua sulla fronte.
“Quello è scappato a quegli alberi laggiù, ma quando lo riprendo allora si che starà male!” ruggì il genero guardando truce verso l’albero dove il figlio si era rifugiato, sotto il quale adesso era andato a festeggiarlo Billy, a cui lo sparo, la caduta e la fuga, era sembrato uno dei soliti giochi a cui il suo piccolo amico lo aveva abituato.
“Ma sta bene? Ditemi che sta bene. Di me non m’importa..” mentre le lacrime continuavano a rigargli il viso scuro di sole e di mare.
“Sta benissimo papà, non preoccupatevi. Piuttosto, cercate di mettervi in piedi adesso…”
L’anziano, spaventato a morte dall’esplosione improvvisa dietro la nuca e dalla conseguente caduta all’indietro del nipotino, aveva subito un collasso immediato che gli aveva fatto piegare le ginocchia. Ma non era il solo a piangere. Anche il bambino, appollaiato su un ramo dell’albero come un fagiano, singhiozzava sommessamente, mormorando: “Nonno…nonno…” mentre il segugio si appoggiava con le zampe anteriori sul tronco cercando di raggiungerlo e scodinzolandogli allegramente. Anche lui aveva paura di aver fatto del male al nonno.
“La colpa è mia. Non fate niente al bambino. Dovevo riabbassare i cani prima di mettere in spalla il fucile! ” sentenziò il nonno riavutosi dal terribile spavento.
“Ma deve imparare un po’ di disciplina! Poteva uccidervi!” protestò l’uomo.
“Ve lo chiedo come favore personale” insistette deciso l’anziano. L’uomo sapeva che il suocero aveva un senso dell’onore superiore persino alla passione per la caccia. Ed inoltre era la prima volta che gli chiedeva qualcosa come “favore personale”. Ne aveva la massima stima e non se la sentì di rifiutargli quella richiesta accorata.
All’ultima luce del tramonto, il vecchio ed il nipotino scendevano verso il paese tenendosi per mano, mentre l’uomo li guardava scuotendo un po’ la testa ed il segugio fulvo gli zampettava intorno, andando a leccare sulla guancia del bambino il sale di quelle lacrime di spavento.
Il bambino ero io, e la storia si è svolta esattamente così come ve l’ho raccontata. Malgrado siano trascorsi ben cinquantatre anni potrei ritrovare persino il luogo in cui è accaduta, tanto vividamente è rimasta impressa nella mia memoria.
La morale è che con le armi bisogna stare sempre attenti. Un automatico mal controllato, una sicura dimenticata, un fosso saltato troppo a cuor leggero: sono tante le cause, a volte stupide, che provocano le tragedie. Nel caso della mia storia, il nonno era incorso in una dimenticanza, aiutata dal fatto che il cane stava andando ad ispezionare un’altra zona e magari da lì a poco sarebbe saltata fuori la lepre. Tuttavia, fu comunque una leggerezza. Il bambino a caccia dite? Beh, allora ancora si poteva. Oggi, con la mentalità corrente, sarebbe del tutto una follia.