La voce del capo lo guidava; era si tranquilla, ma in quel suono lui avvertiva un tremolio del tutto nuovo che gli sussurrava di non aver fretta a scendere in quella scarpata piena di cespugli, pur se era necessario che vi andasse. Non comprendeva l’indecisione del capo, perché lui non aveva mai pensato nemmeno per un attimo di tirarsi indietro. Ma forse il capo non voleva che si stancasse troppo sapendo che i suoi muscoli non erano quelli di una volta e aveva cura di lui. Il capo gli voleva ancora bene. Gli altri del branco lo avevano preceduto e ne sentiva già le grida sull’odore acre della bestia che anche quella mattina era tornata al suo insoglio inespugnabile in cui nessuno aveva il coraggio d’entrare. Per questo lui era lì. Come una volta, come negli autunni più belli, doveva fare un lavoro che nessun altro poteva fare.
Era proprio laggiù, la bestia. Un vecchio grosso e malvagio il cui odore era accompagnato da una nota sinistra che lui solo una volta prima d’allora aveva avuto modo di percepire. Era l’odore della disperazione. Capì che questa bestia doveva essere ammalata o ferita, ma forte e pericolosa quant’altre mai. Arrivò zoppicando fra i cespugli e le rocce su cui gli altri avevano iniziato a latrare, lanciò a tutti un’occhiata, poi volse la testa verso l’alto e vide il capo. Cercò di leggere nei suoi occhi la contentezza per il fatto che lui fosse lì, ma vi scoprì una strana luce di dispiacere, come quando aveva portato la vecchia Roma dal suo amico che cura le ferite e lei non era più tornata. Perché il capo era dispiaciuto? Forse non stava facendo abbastanza. Forse la sua voce non era ben decisa. Doveva fare meglio. Iniziò a gridare forte allora, avanzando fra i ligustri pungenti e le grandi pietre grigie che gli si paravano innanzi per ostacolarlo. Andava avanti e gridava accompagnato dalle voci degli altri rimasti fuori al sicuro, fin quando non iniziò a penetrare nell’antro della bestia. Che brutto posto era quello! Stretto e duro, permeato dal lezzo grave della creatura che lo abitava, e diventava sempre più buio passo dopo passo. Udiva la propria voce rimbalzare fra le pareti umide, fino a quando non si zittì e si fermò. Adesso era buio davvero. Il giorno era rimasto fuori insieme ai suoi compagni, forse perché anche il giorno, pensò, aveva paura di entrare lì a causa della bestia che ci viveva.
Fu un lampo. Intuì una immane forma scura venirgli addosso. Cercò di saltare di lato ma una roccia glielo impedì e si schiacciò a terra ringhiando. Un grifo mostruoso lo sollevò come un rametto scagliandolo per aria e lo fece atterrare su una corona di sassi puntuti. Sentì la bestia che caricava ancora e riuscì perfino a vederla. Era vecchissima, disperata, ed enorme. Il suo orrido muso lo investì aprendogli la carne del costato e facendogli zampillare il sangue mentre sentiva le proprie ossa sbriciolarsi. Ma lui era lui, e non un gregario qualsiasi. Il capo lo aveva chiamato per un lavoro speciale che doveva eseguire. Addentò con violenza le narici della bestia torcendone le cartilagini verso il basso e sentendo l’osso del muso che veniva inciso dalle sue zanne. Fece in tempo a veder roteare indietro gli occhi del mostro, poi sentì che veniva trascinato fuori, straziato sulle rocce ed infine scrollato via come un uccello morto.
Vide la sagoma scura della bestia che si allontanava veloce, ma in modo strano, come se si muovesse lentamente. Una cosa che non sapeva spiegarsi. Non udiva più alcun rumore, alcuna voce, vedeva i compagni correre e il suo sangue sparso ovunque fra le pietre. Il capo lo chiamava. Non poteva sentirlo, quello no, perché non riusciva a sentire più niente, però poteva capire dalle labbra che gridava il suo nome. “Ferro! Ferro!”. Si, era proprio il suo nome che chiamava. Ma perché non era felice il capo? Perché il suo viso non aveva un’espressione di vittoria? Lui aveva fatto quello che il capo gli aveva chiesto facendo uscire la bestia dalla sua caverna oscura, e adesso i bastoni col fuoco avrebbero potuto prenderla.
Improvvisamente sentì sonno. Bello sentire sonno dopo tanto tempo. Da quanto aspettava quel sonno! Sentì che stava addormentandosi rapidamente. Era il premio, il suo premio. Gli dispiaceva non poter sentire la voce del capo che lo chiamava, però aveva fatto quel che doveva fare ed il capo certamente era contento di lui.
Si sentì felice e chiuse gli occhi. Adesso poteva dormire ancora.
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