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Racconto: IL RIPOSO DI FERRO

Copertina
19 Dicembre 2022 di Mario Sapia
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Fra poco un’altra mattina sarebbe arrivata. Andò a fare uno schizzo vicino all’angolo della rete e bevve un sorso d’acqua gelida. Qualche filo di paglia gli si staccò dal pelo ispido e il primissimo chiarore dell’aurora fu annunciato dal pigolio della capinera che viveva accanto al suo albero. Di colpo si fermò, e guardò verso la strada serpeggiante fra i cerri. Trattenne il respiro. Il capo stava arrivando con i carri ruggenti. Lui sapeva sempre quando ciò accadeva. Non capiva come, ma lo sapeva e basta. Sapeva molte cose, come il fatto che Tigrillo, il giovane ardimentoso dal manto di gatto, da un pezzo non ritornava alla tana perché una bestia era riuscita a colpirlo in modo molto grave. Il capo l’aveva portato da quello che cura le ferite ma Tigrillo non s’era più visto, né di lui s’era più avuta notizia.

Anche quella mattina non aveva sbagliato. I ruggiti dei carri iniziarono a udirsi lontani fra gli alberi e i loro occhi lanciavano la luce che metteva in chiaro le forme delle cose. A lui non piacevano gli occhi dei carri. Non riusciva mai a leggervi alcuna espressione neppure quando non mandavano la luce, e questo gli impediva di capire cosa pensassero o che intenzioni avessero. Non che fosse importante, ma ormai oltre ai ricordi non gli restavano che questi pensieri per continuare a vivere. Non dormiva più, non trovava una ragione per farlo quando per tanti autunni aveva provato il riposo dopo la battaglia, fiero di sdraiarsi nella sua tana con l’odore della bestia ancora addosso, con l’eco delle sue urla nelle orecchie e con le zampe che gli bruciavano per la fatica. Com’era bello dormire! Ma ora? Perché dormire adesso? Che diritto aveva di farlo? Non capiva questo, e come per tutte le cose che non capiva, ci pensava in continuazione.

I carri arrivarono al solito slargo vicino alla fontana. Da quello più scuro scese il capo con la sua lingua sottile legata ad una zampa, e lui lo vide avvicinarsi alle tane del branco. I compagni saltarono fuori gridando, chiamandolo, agitandosi senza sosta e cercando come sempre di attirare la sua attenzione. Questa volta però stava accadendo qualcosa di diverso. Il capo veniva verso di lui. Irrigidì i muscoli del collo e lo fissò stupefatto mentre apriva proprio il suo cancelletto. Era davvero come tante stagioni addietro, come nei giorni della vita, di quella vera, come nei giorni della giovinezza? Si sentì leggero, smarrito, e non poté fare a meno di andargli incontro e di muovere la coda. Sentì le orecchie cadere in basso e la zampa del capo che gli si posava sulla testa. Udì il suo nome e un comando che capì subito, quindi andò verso il carro trottando d’euforia. Lì, vi poggiò sopra le due zampe davanti mentre con una di dietro provava a darsi una spinta per salire. S’artigliò con l’unghia tentando di far leva, ma questa continuava a scivolare via facendolo battere contro la corazza fredda del carro. Provò ancora ed ancora. Pensò che doveva salire ad ogni costo, altrimenti il capo l’avrebbe chiuso di nuovo nella tana se non fosse riuscito a farlo. Iniziò a guaire. Proprio lui, che non l’aveva mai fatto nemmeno con le zannate più feroci. Di colpo si sentì sollevare da dietro. Era il capo che lo aiutava. Allora voleva dire che lo stimava ancora, che ancora lo riteneva importante! Era felice di questo, così tanto da non potersi trattenere dall’uggiolare cercandone col muso la zampa. Sul carro, un mondo di odori lo accolse: quanti profumi nuovi s’erano aggiunti da quando era salito l’ultima volta! Annusava macchie di sangue e ciuffi di pelo, quando udì uno scalpiccio di unghie dietro di sé: era Toppina, che era stata anche una sua femmina tanti autunni prima. La piccola cagna macchiata cominciò a strofinare lieta il suo naso contro di lui; poi, querula com’era, prese a raccontargli della giornata speciale che andavano ad affrontare. Gli svelò che proprio lui quel giorno avrebbe dovuto scovare una bestia enorme da una specie di tana rocciosa fra i cespugli fitti di una collina, e tale bestia era talmente vecchia e cattiva che nessuno aveva il coraggio di entrare a mandarla via per spingerla verso i bastoni che fanno fuoco. Avvertì il cuore pulsare fino alle orecchie e respirò forte. I dolori gli parvero scomparire e persino il fuoco alla coscia che non aveva mai smesso di tormentarlo da quel lontano giorno sul torrente, sembrava non ci fosse mai stato. Sedette fiero, puntò lo sguardo in avanti, e mentre il carro avanzava brontolando, una calma benefica lo avvolse e i cattivi pensieri, uno ad uno, cominciarono pian piano ad abbandonarlo.

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