Per la caccia al cervo, animale astuto e veloce, i romani impiegavano battitori, cani e reti per spingere l’animale verso una o più trappole costitute da fosse coniche con all’interno una specie di tagliola. Meno prestigiosa di quella al cinghiale, a causa del carattere timoroso dell’animale, la caccia al cervo in epoca imperiale era anche meno diffusa rispetto a quella al cinghiale. Oltretutto la carne di cervo non era particolarmente apprezzata nelle tavole dei romani. La caccia alla lepre invece, nonostante che anche qui ci si trovasse di fronte ad un animale pauroso non in grado di nobilitare il cacciatore, ebbe sempre grande diffusione nel mondo romano probabilmente per influenza celtica, greca ed etrusca. Si praticava a cavallo, come si vede benissimo in uno dei mosaici provenienti da Cartagine, nel solco di quello che appunto facevano le popolazioni celtiche della Gallia. Cani e falchi aiutavano il cacciatore nell‘opera. Il cane è spesso raffigurato come ausiliare nella caccia nei mosaici del Bardo. Anche al tempo dell’antica Roma il lavoro dei cani era tenuto in grande considerazione per la buona riuscita della cacciata, così del resto come oggi. Abbiamo notizie di una ventina di specie note già all’epoca dei Romani sia asiatiche che europee. Dopo la conquista della Gallia da parte di Cesare fecero la propria comparsa a Roma i levrieri gallici. Nei testi dell’epoca si citano tra le razze canine celtiche il vertragus impiegato per l’inseguimento a vista della selvaggina e il segusius prezioso per il suo fiuto. Arriano, autore del II sec d.C., cita la tecnica gallica, poi ripresa dai romani, di accoppiare per la caccia alla lepre un cane meno esperto ad uno già navigato. Non si sa molto delle tecniche di addestramento ma deduciamo che lo stesso cacciatore o un magister canum, per chi se lo poteva permettere, se ne occupasse.
« Page 4 | Page 6 »Tunisia: al museo del Bardo di Tunisi, la straordinaria collezione di mosaici venatori romani
OrizzontiCondividi: