Proprio i mosaici del Bardo ci hanno dato una delle più ricche e dettagliate documentazioni in materia. Senza di essi molte domande sarebbero rimaste senza risposta per gli storici. Una delle cacce più diffuse era la caccia al cinghiale. Allora come oggi l’irsuto verro, presente numeroso in molti territori dell’impero le cui carni erano utili per il desco, godeva dell’attenzione di molti cacciatori dell’epoca. Di fatti la sua caccia è ampiamente documentata al Bardo. Il cinghiale era ritenuto un avversario onorevole da affrontare, a differenza del cervo considerato un animale timido e non combattivo. La caccia al cinghiale finì per divenire anche virtù imperiale. Adriano e Marco Aurelio si fecero ritrarre nelle monete della loro epoca nell’atto di cacciare il cinghiale a cavallo e impugnando una lunga lancia. Il suide del resto compare insieme al leone in alcuni sarcofagi imperiali. Ma al di là di questi illustri cacciatori e di queste cacciate imperiali, che avevano anche un valore simbolico, la battuta al cinghiale si svolgeva a piedi. I cacciatori erano accompagnati da una muta di cani addestrati a scovare le tracce del suide e spingerlo verso delle reti che erano state dispiegate in punti precisi. Solo quando la belva era intrappolata nella rete il cacciatore con un lungo spiedo affrontava il cinghiale cercando di dargli il colpo mortale all’altezza della gola.
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