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Storie di oche e di..spinoni

2 Aprile 2018 di Mario Burani
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Quasi davanti a me sull’opposta sponda Lombarda, era in funzione un appostamento fisso (nel nostro gergo dialettale un gioco) tenuto da un mio amico Viadanese. Le anitre da richiamo berciavano continuamente. Il grande spinone bianco seduto al mio fianco al canto drizzava le orecchie poi si voltava verso di me come se volesse dirmi “so cosa sono”. Venne l’alba e liberai il cane che iniziò ad esplorare la massicciata della riva sotto miei piedi, proseguendo verso valle. Avevo poche speranze: in aria non si vedeva un uccello né si sentiva cantare qualcosa di diverso se non il berciare delle anatre germanate. Quando mi trovai a circa 200 metri dal pennello, sentii sulla mia schiena e sul mio collo i primi fiocchi di neve. Decisi comunque di proseguire, anche senza speranza, la ricerca della beccaccia. Giunsi al spinone 3boschetto formato dagli arbusti di rose canine contornati da alti salici che si interrompeva per un tratto di circa 6-7 metri per poi riprendere ad est. Rambo non mostrava di percepire alcun odore. Ad un tratto si fermò fissando intensamente l’acqua sotto i suoi piedi che si intravedeva fra le robinie della massicciata. Mi feci avanti a fianco del cane e guardai nella direzione del suo muso. Ecco cosa vedeva il mio cane: una grossa nutria che, avendoci visti e sentiti, cercava di prendere il largo a nuoto, ma veniva respinta dalla forza della corrente contro la nostra riva. Per evitare che Rambo (che pur era un cane perfettamente dressato) si  buttasse per azzannarla, mi chinai al suo fianco tenendo stretta con la mia mano destra la sua orecchia e nella sinistra il fucile. Mi resi poi conto successivamente che ero chinato a fianco degli arbusti di rosa canina e dei salici alti che seguivano la riva; ero così completamente invisibile per qualsiasi uccello che volasse basso contro il vento che portava la neve. Davanti a me solo lo slargo di circa 6-7 metri che divideva in due la parte degli arbusti di rose.

« Il Fato di un'oca della neve - pag 3] 30 Dicembre 1989.La sera antecedente a quella data incontrai al Bar del mio paese un vecchio cacciatore, figlio dell’ultimo cacciatore di professione del Po. Persona squisita, corretta e anche ottimo tiratore. Aveva sempre dimostrato simpatia e amicizia nei miei confronti. Quella sera mi rivelò che un giovane cacciatore locale aveva “alzato” una beccaccia sulla nostra riva del Po, a fianco dei resti di un antico pennello che continuava una massicciata creata dopo la grande alluvione del 1951. Queste le sue parole: “Mario prova ad andare lì domani mattina con il tuo spinone Rambo che so essere molto bravo e portato per la caccia alla beccaccia. Se nella notte non nevicherà o se la beccaccia non sentirà l’odore di neve nell’aria, facilmente potresti ritrovarla nello stesso posto. Altrimenti vorrà dire che se ne sarà andata durante la notte”.  Ringraziai per la notizia e per la fiducia riposta in me e nel mio grande spinone bianco, dai dolci occhi e dalle orecchie colore del sole che tramonta. Conoscevo bene il posto indicatomi nel quale molti arbusti di rosa canina e la corona dei salici che seguiva il fiume, limitavano molto la visibilità di tiro. Per questo motivo non portai con me il nuovo semiautomatico che aveva strozzatura un po’ accentuata, ma una doppietta che un amico mi aveva ceduto a saldo delle numerose difese in sede penale da me svolte in suo favore. Il fucile aveva strozzature più confacenti al tiro di stoccata nel fitto anche se in verità non l’avevo quasi mai usato. La mattina dopo arrivai con l’auto a circa un km a monte del pennello ormai quasi distrutto dal tempo e dalla corrente. Quando parcheggiai l’auto era ancora buio ma non nevicava e il terreno era completamente sgombro di neve. Scesi, tolsi la doppietta dal fodero e inserii in prima canna una cartuccia di cartone dell’8, in seconda misi più prudentemente una corrazzata del 7. Visto che dovevo costeggiare la riva del grande Fiume, poteva esserci l’opportunità di sparare ad un Germano Reale o comunque ad un’anitra di altra specie certamente con un corpo e un pennaggio più coriaceo e meno soffice di quello della beccaccia. Feci scendere dall’auto Rambo mantenendolo al guinzaglio fino al sorgere dell’alba. Il Po era aumentato di livello dai giorni precedenti e la corrente era forte. Il cielo era grigio piombo e quindi secondo l’antico adagio “cielo che luce neve produce”. [section_title title=pag 4 | pag 6 »

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