Quasi davanti a me sull’opposta sponda Lombarda, era in funzione un appostamento fisso (nel nostro gergo dialettale un gioco) tenuto da un mio amico Viadanese. Le anitre da richiamo berciavano continuamente. Il grande spinone bianco seduto al mio fianco al canto drizzava le orecchie poi si voltava verso di me come se volesse dirmi “so cosa sono”. Venne l’alba e liberai il cane che iniziò ad esplorare la massicciata della riva sotto miei piedi, proseguendo verso valle. Avevo poche speranze: in aria non si vedeva un uccello né si sentiva cantare qualcosa di diverso se non il berciare delle anatre germanate. Quando mi trovai a circa 200 metri dal pennello, sentii sulla mia schiena e sul mio collo i primi fiocchi di neve. Decisi comunque di proseguire, anche senza speranza, la ricerca della beccaccia. Giunsi al
boschetto formato dagli arbusti di rose canine contornati da alti salici che si interrompeva per un tratto di circa 6-7 metri per poi riprendere ad est. Rambo non mostrava di percepire alcun odore. Ad un tratto si fermò fissando intensamente l’acqua sotto i suoi piedi che si intravedeva fra le robinie della massicciata. Mi feci avanti a fianco del cane e guardai nella direzione del suo muso. Ecco cosa vedeva il mio cane: una grossa nutria che, avendoci visti e sentiti, cercava di prendere il largo a nuoto, ma veniva respinta dalla forza della corrente contro la nostra riva. Per evitare che Rambo (che pur era un cane perfettamente dressato) si buttasse per azzannarla, mi chinai al suo fianco tenendo stretta con la mia mano destra la sua orecchia e nella sinistra il fucile. Mi resi poi conto successivamente che ero chinato a fianco degli arbusti di rosa canina e dei salici alti che seguivano la riva; ero così completamente invisibile per qualsiasi uccello che volasse basso contro il vento che portava la neve. Davanti a me solo lo slargo di circa 6-7 metri che divideva in due la parte degli arbusti di rose.
Storie di oche e di..spinoni
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