Quindi Pieroni tratteggia con sapienti tocchi di penna l’atmosfera di rivalità fra squadrette dello stesso paese i cui lepraioli erano “…divisi in clan come piccole comunità scozzesi, e ogni clan era con l’altro in perpetua gara, impegnato in una singolare tenzone che andava dalla sfida domenicale alla beffa quotidiana fino al rancore e all’odio….A mezzogiorno di ogni domenica, estiva, autunnale, invernale, tutto il paese scendeva in piazza o sostava alle finestre aspettando il ritorno dei lepraioli. E quelli arrivavano per squadre, preceduti dai cani con le lingue pendenti, sbilenchi, mezzi azzoppati, e loro rigidi con gli abiti scuri coperti di polvere bianca, i trofei sanguinanti orgogliosamente in pugno, e passavano con sorrisi di trionfo davanti alle dimore degli avversari. Ma se questi non erano tornati e tardavano per loro iniziava l’agonia dell’attesa: ne avranno presa una, due, quante più di noi, quante meno di noi? L’attesa aveva termine quando dalle ultime case il vociare dei ragazzini, il riso delle donne, uno scroscio di applausi, faceva loro capire che la squadra rivale era tornata, vincitrice.”
Questi erano i veri lepraioli, sentenzia Piero Pieroni. E conclude : “ Sai, Andrea, quando sono finiti i lepraioli? Quando una squadra, per salire alle poste, per la prima volta usò una macchina, invece di andare a piedi, e sull’asfalto investì una lepre e in paese, a dispetto degli avversari, la aggiunse al carniere strappato alle colline.”
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