Nel 2001, l’Enci dispone che venga dato l’avvio alle procedure per l’accettazione del segugio maremmano da cinghiale e del piccolo lepraiolo italiano, ovvero il segugio dell’Appenino. Soprattutto del primo viene registrato un gran numero di soggetti, e vengono individuate numerose famiglie, base essenziale per non cadere nei pericoli della consanguineità. Con la delibera dell’Enci numero 192, del 7 luglio 2003, le due nuove razze si avviano agli altari dell’ufficialità.
Sento però la necessità di spendere due parole in più su questo argomento. Mentre il lepraiolo dell’Appennino è certamente una delle basi genetiche fondanti del segugio italiano, e dunque un recupero può avere anche un certo crisma di utile archeologia canina, per il segugio maremmano la cosa è diversa. Non c’è dubbio che in maremma l’impiego di cani da cinghiale risalga a tempi antichi, ma è ugualmente chiaro come il segugio maremmano così come lo conosciamo non può essersi formato in modo autoctono, ovvero con esclusivo “materiale” genetico locale ed antico. Ho avuto modo di cacciare con questi cani e li ho trovati magnifici, ma ho potuto osservare due elementi a mio avviso importanti. Il primo è il modo di cacciare, molto simile ai segugi inglesi, con
predilezione per le piste calde, grandissima resistenza anche a notevoli velocità, ed accostamento sbrigativo condotto spesso più su particelle aeree che non terrene; dunque assolutamente non tipico per un segugio mediterraneo, italiano, francese o spagnolo che sia. Il secondo riguarda la morfologia, ossia certi rapporti anatomici quali le angolature posteriori e l’andamento ampio del garrese, senza contare una mascella inusitatamente robusta, le orecchie ampie, attaccate sopra la linea degli occhi, non lunghe e mobili in attenzione come le vecchie linee foxhound di metà ottocento, quindi, dulcis in fundo, il colore tigrato fra i vari colori del manto. Ho allevato e utilizzato i greyhound, i famosi levrieri inglesi, e confesso che sono rimasto molto colpito nel riscontrare nei segugi maremmani gli identici rapporti morfofunzionali, la stessa espressione negli occhi, la stessa volontà predatoria. Il manto tigrato poi, fra le razze da caccia si riscontra solo in quattro casi: il segugio di Hannover, il greyhound, il levriero ungherese ed il galgo spagnolo. Altrimenti si deve andare a cercare fra i mastini, i bulldogs ed i loro derivati. Molto probabilmente dunque, su una base atavica indubitabilmente italiana, sostenuta anche dal compianto Don Nando il quale addirittura ne faceva una filiazione diretta del segugio dell’Appennino, il segugio maremmano ha subito, negli ormai insondabili marasmi di incroci, anche l’infusione di cani inglesi non prima della metà dell’ottocento. Non trascuriamo il dato che proprio in quel periodo venivano importati in Italia i primi foxhound e greyhound da due casate principesche romane che volevano svolgere sulle proprie campagne in maremma, le stesse cacce alla volpe e alla lepre cui avevano preso parte in Gran Bretagna, e molti di quei cani, divenuti vecchi, venivano regalati a fittavoli e fattori senza averne più notizia alcuna. Un segugio di grandi doti e senza dubbio un italiano vero, il nostro maremmano; ma anche un cane per così dire ecumenico, globalizzante, al passo con i tempi e pronto, insieme ai suoi cugini d’Italia a correre ancora senza sforzo per i cento e cento anni a venire.